Esperienze e riflessioni sulla lotta femminista globale

Dal 2 al 5 dicembre, il team di Semia ha partecipato al 15° Forum AWID (Association for Women’s Rights in Development) a Bangkok, un evento che ha riunito oltre 3500 attivist da tutto il mondo. Un’occasione straordinaria per confrontarsi su diritti di genere, attivismo femminista e giustizia sociale. La città è stata inondata da referenti di organizzazioni e associazioni di tutto il mondo, c’erano una grande maggioranza di rappresentanti asiatiche, attivist* del continente africano ed americano, nonché provenienti dall’Oceania e dalle isole del pacifico e dall’Europa. Una miriade di professioniste che fanno della giustizia di genere la loro vocazione, la loro lotta e la loro pratica politica.

 

Il primo giorno il forum è stato inaugurato con un’assemblea plenaria in cui si sono susseguiti saluti e ringraziamenti, performance e cerimonie in un momento di generale raccoglimento in cui l’attivista indigena guatemalteca Flor Alvarez Medrano ha organizzato una ceremonia per onorare la presenza di tante attivist* in terra tailandese: “l’energia dell’universo ci sostiene, ci aiuta ad essere presenti e vive, a dare valore alla nostra forza ed energia”. Amaranta Gomez, attivista muxe ed una delle maggiori esponenti per i diritti LGBTI+* in Messico, ha sottolineato l’importanza di andare oltre il semplice connettersi, ma la necessità di collaborare riconoscendo l’intersezionalità delle oppressioni. 

Nei giorni successivi al Forum, si sono svolti spazi condivisi di riflessione e confronto, dove attivist* di tutto il mondo hanno discusso strategie per rafforzare la lotta contro sistemi oppressivi e patriarcali, con l’obiettivo di rendere i movimenti meno isolati e più connessi. I temi affrontati erano molteplici, intrecciandosi con i contesti e le realtà delle diverse comunità.

Uno dei temi della seconda plenaria è stato l’impatto della tecnologia nelle nostre vite personali, sociali e politiche. Kenia Rachel Mwikali, attivista keniota, ha evidenziato la duplice natura della tecnologia: da un lato, strumento per creare reti di solidarietà e condividere risorse; dall’altro, mezzo utilizzato dai governi per reprimere voci dissidenti e perpetrare violenza di genere. Altro argomento, trattato nella prima sessione e caro a noi femministe, è stata la cura. Ana Maria Hernandez, attivista messicana che milita nella Red Mesoamericana de Defensoras, ha sottolineato come chi lotta porti con sé dolore profondo. Riconoscere queste ferite è essenziale per avviare un processo di guarigione. Secondo Hernandez, spazi di cura – come gli spazi dedicati al benessere delle attiviste – sono fondamentali per consentire loro di recuperare le energie necessarie per rafforzare sé stesse e i movimenti.

Il fenomeno della migrazione è stato discusso in relazione ai suoi effetti devastanti su donne, bambine, persone trans e non binarie, le cui vite sono messe a rischio da guerre, criminalizzazione, crisi climatica e politiche disumane di marginalizzazione. Si è riflettuto anche sull’intensificarsi dei conflitti a livello globale e su come questi colpiscano in modo sproporzionato le comunità più vulnerabili. Tali crisi sono strettamente connesse all’uso spropositato di combustibili fossili e al cambiamento climatico. In questo contesto, è stata presentata la campagna del Fossil Fuel Treaty, che promuove un’azione trasformativa per affrontare le cause profonde della crisi climatica, sostenendo un futuro sostenibile che metta al centro giustizia di genere e diritti umani.

Un tema cruciale è stato inoltre quello della disabilità. È emersa la necessità di rendere il femminismo uno spazio sicuro e inclusivo anche per donne e ragazze disabili. L’abilismo all’interno di alcuni spazi femministi rappresenta una forma di discriminazione che deve essere affrontata per costruire un movimento veramente intersezionale. Infine, si è discusso dell’HIV non solo come questione di salute, ma come tema profondamente legato al femminismo. In molti paesi, le donne con HIV subiscono discriminazioni che spaziano dall’impossibilità di accedere al lavoro alla sterilizzazione forzata durante la gravidanza. In alcuni contesti, sono criminalizzate e persino private della possibilità di viaggiare. Questo dimostra come l’HIV debba essere incluso nell’analisi femminista intersezionale, considerando il suo impatto sulla salute sessuale, sulla riproduzione e sui diritti fondamentali delle donne.

Nell’ultima plenaria non si è dato solo spazio ai panel di esperte per parlare di un tema specifico, ma si è resitutito lo spazio a le attivist* che lottano e resistono in diverse parti del mondo. Hanno parlato persone dalla Georgia, Ucraina, Haiti, Sudan, Repubblica Dominicana, dai territori del Mapuche (Argentina), Tigray (Etiopia), Myanmar, Sud Africa, Filippine, India, Nord Pacifico, Siria, Canada, Libano, Sud Corea, Indonesia, Palestina, Kenya, Brasile, Argentina e Kurdistan (Rojava). Ognuna ha raccontato le difficoltà e ingiustizie subite dalla loro gente, e ha chiuso l’intervento con una call to action non solo verso le istituzioni e la comunità internazionale, ma anche al movimento femminista in ascolto. Non sono mancati momenti di commozione, dove rabbia, senso di appartenenza e gioia di essere insieme affioravano contemporaneamente, rendendo giustizia alla complessità delle storie raccontate.  In chiusura dell’ultima plenaria alcun* attivist* hanno distribuito le bandiere del Bangkok pride. I diritti delle LGBTQ in Thailandia sono considerati tra i più avanzati dell’Asia. Il matrimonio egualitario è stato firmato nel 2024 ed entrerà in vigore nel gennaio 2025. Ma nonostante la Thailandia sia vista come un paradiso turistico per le coppie dello stesso genere, la realtà per i locali è che la legge, e spesso l’opinione pubblica, non è così liberale. Episodi di discriminiazione, feticizzazione e violenza esistono ancora. Tra le richieste del movimento LGBTQ ci sono: la correzione dei documenti per le persone trans e la lotta alla discriminazione, sopratutto in ambito lavorativo.

Negli spazi del forum erano presenti delle esposizioni e rappresentazioni di “artivismo” provenienti da diverse parti del mondo. Illustrazioni, quadri, e istallazioni interattive chiedevano al pubblico di lasciare traccia dei propri pensieri, desideri, critiche. Tra queste installazioni permanenti di grande forza erano tre larghi pannelli che testimoniavano la storia di donne prigioniere in paesi come Arabia Saudita, Iran, Nicaragua e molti altri posti del mondo. Questa installazione pubblica e partecipativa chiedeva di trasformarsi in una lettera collettiva per inviare amore, potere e forza alle donne si trovano in carcere, colpevoli solo di essere women’s rights defenders. I messaggi di supporto sono stati raccolti in un taccuino che sarà consegnato alle donne private della libertà. 

Le attiviste del movimento zapatista hanno costruito un altare zapatista per offrire uno spazio interattivo di riflessione, di elaborazione del lutto, ma anche di celebrazione di gioia e speranza. L’altare decorato con fiori di cempasuchil, tipici della tradizione buddhista ma ugualmente un elemento rappresentativo degli altari del giorno dei morti in Messico, rappresentava uno spazio in cui tutt* potevano portare qualcosa da offrire, una speranza, un ricordo, un desiderio che potevano lasciare lì come offerta all’altare. Anche Semia ha contribuito alla ricchezza di questo altare collettivo! 

Oltre alle installazioni, il Forum ospitava un’area dedicata alle organizzazioni e fondazioni femministe, un luogo dove approfondire la storia delle singole lotte e sostenere le associazioni tramite l’acquisto di gadget e materiale informativo. Questo spazio si è rivelato prezioso sia per scoprire realtà a noi sconosciute, sia per ritrovare vecchie conoscenze e attiviste già parte delle nostre reti. Tra le tante esperienze significative, abbiamo incontrato SWASA (Sex Workers and Allies South Asia), un’organizzazione di lavoratrici e alleate che si battono per il riconoscimento del lavoro sessuale come un lavoro dignitoso. Con loro erano presenti anche le lavoratrici sessuali thailandesi, rappresentate dalla fondazione Empower. Queste ultime ci hanno mostrato una raccolta di verbali ricevuti durante l’esercizio del loro lavoro, a dimostrazione di come le autorità di polizia sfruttino anche infrazioni minori per limitare le loro attività. Le sex worker thailandesi hanno raccontato con orgoglio dell’esistenza del museo This Is Us, che celebra la storia del lavoro sessuale in Thailandia, e del Can Do Bar, un bar gestito da sex worker per sex worker, attivo con successo dal 2006.

Uno degli incontri più stimolanti è stato quello con un gruppo di femministe che considerano le politiche sulla droga una questione femminista. Il loro approccio si basa sull’antiproibizionismo e sull’abolizione dello stigma verso le persone che fanno uso di sostanze. Hanno sottolineato il fallimento della cosiddetta “guerra contro le droghe” e hanno avanzato richieste per la depenalizzazione di tutte le sostanze. Questo stesso gruppo ha condotto una sessione intitolata Narcofemminismo, caratterizzata da una dinamica ispirata al teatro dell’oppresso. Durante l’attività, un gruppo di partecipanti avanzava argomentazioni “a favore” e un altro “contro”, generando un dibattito vivace e mettendo in evidenza le molteplici sfaccettature e complessità del tema. Con una posizione simile rispetto al tema delle sostanze stupefacenti c’era l’organizzazione INFIW (International Network of Formerly Incarcerated Women), un network internazionale di ex donne detenute, che oltre a sostenere campagne di scarcerazione, porta avanti una visione antipunitivista e anticarceraria, sostenendo che sia ingiusto imprigionare persone che fanno uso di droghe. 

Un incontro sicuramente emozionante è stato quello con le compagne palestinesi del PSCCW (Psycho-Social Counseling Center for Women) un’organizzazione di donne stabilita nel 1997 in Palestina, con una visione basata sull’uguaglianza e sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro le donne. PSCCW è parte integrale del movimento femminista palestinese. La loro missione è offrire servizi ai gruppi più marginalizzati, ovvero donne e bambini, offrendo loro non solo supporto psico-sociale, ma anche consulenze legali, empowerment economico e facendo advocacy e attività di sensibilizzazione. 

L’esperienza al Forum AWID ha rafforzato il nostro impegno verso un futuro femminista, equo e sostenibile, ma ci ha anche dato uno spazio per sentirci parte di un immaginario condiviso, che trascende le geografie e le culture. Lavorare per smantellare le ingiustizie e contribuire alla liberazione delle persone marginalizzate ha un peso sulla salute mentale,  stare in questi spazi permette di ricaricare le energie e ricordare che insieme siamo forti. Condividere strategie, storie e visioni ha alimentato ulteriormente la nostra determinazione a smantellare sistemi patriarcali, razzisti e oppressivi.

Semia continuerà a portare avanti questa lotta, forte delle connessioni e delle esperienze vissute in questo spazio di solidarietà globale. Un passo alla volta, costruiremo insieme un domani migliore.

 
en_GBEnglish
* indicates required